Verrebbe voglia di dire: Loretto Ricci, chi è costui?
Che cosa fa, disegna, scolpisce, brucia, gli dà di scalpello, di martello, d'intaglio...
Usa tanti di quei materiali da far girar la testa, e li lavora, in tanti modi.
Corpi, visi, occhi, che ci guardano, e non ci guardano,
che forse sono assorti nei propri pensieri, problemi, sofferenze.
Molte delle sue opere fanno pensare alla sofferenza, la fanno sentire la sofferenza, quella che c'è, intima, in ognuno di noi, e quella che c'è, forte, apparentemente lontana, nei tanti drammi del mondo.
E son cose conosciute.
Non c'è scoperta, non c'è sorpresa, nel pensare a quanta gente soffre per la guerra, per la fame, per le epidemie violente e velate, per i disordini di questo nostro pianeta, così poco curato, spesso poco amato.
Così tanta gente, che non si riesce nemmeno più a contarla.
E quando i numeri son troppo grandi, succede che anche l'interesse scema.
È facile perdersi nella parola umanità.
E molte delle opere di Loretto ci vogliono ricordare, quasi lo pretendono, che siamo, tutti, solamente umani.
Non è il primo, e speriamo che non sia l'ultimo,
che si approccia alle tematiche di un consesso umano dolente e, purtroppo, molte volte perdente.
Ed è questo il percorso, intimo e materico, che mi ritrovo a fare.
Prima la plastica, prima la grande inquinatrice,
la gran povera e triste degli ultimi decenni.
La plastica è come un grande rimorso collettivo,
usata, abusata, e fortemente rinnegata.
E Loretto l'ha cercata, ed usata, lavorata,
come fosse la più nobile materia.
Nelle sue plastiche, figure strane e bizzarre, quasi disegni degli anni '20, vince il colore, vince il nero di tanti uomini e donne, in lotta con il nero di tanti cuori.
Che occhi strani, sgranati, così bianchi che sembran trapiantati.
E corpi improponibili, eppur rievocativi di forza ed eleganza.
Poesie nuove ed antiche.
"Così tra questa immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare ".
Quanti mari esistono dentro di noi, il mare dei pensieri, delle emozioni, dei ricordi, dei sentimenti...
E poi, dopo la plastica, la pietra.
Le pietre, come non amare quelle mani, quelle dita lunghissime, quegli abbracci impalpabili.
Ma nelle pietre, e nelle tegole, sono i nasi, a mio avviso, l'elemento più forte, che quasi stranisce.
All'inizio, non riesco a separarmi da immagini di oggetti africani che ho visto tante volte, anche nei mercati.
È un attimo, poi la particolarità dei tratti mi prende per mano, si muove nel tempo, e rivedo, dei e guerrieri, Achille e l'Iliade,
ed i sogni di pace che rimangono tali.
"Troiani di tutto il mondo, uniamoci.
Questa città eterna che abitiamo insieme non la lasceremo distruggere, non lo permetteremo".
Così una voce, che mi par di sentire provenir da quelle pietre.
Quanta suggestione può scaturire dall'arte!
Un viaggio, questa conoscenza con l'artista,
la cui durata è direttamente legata al desiderio di riflettere, di ascoltare, di rifiutare, o accettare.
Perché, come dice il proverbio, de gustibus...
Credo che ci si debba sentire liberi,
liberi di essere se stessi, liberi come la speranza che è alla base delle opere di Loretto, in alcune più che in altre.
Continuando a viaggiare, sono entrato nel mondo dei quadri.
Son sincero, mi sentivo già sazio, di principi, ideali e promesse.
Ed invece, una nuova sorpresa, un regalo più grande.
Tavole scure, con impresse le immagini che più non ti aspetti.
Uomini e donne, disegnati col fuoco.
Come il fuoco del cuore, che non brucia soltanto,
che rigenera forme di cui siamo campione.
Ci si guarda dentro, ci guardiamo fuori,
e non è facile capire qual'è il luogo che stiamo vedendo.
È il fuori di ciò che gli occhi vedono,
o è il dentro di ciò che anche gli occhi sanno?
Perché il vivere è un'immensa relazione.
Ogni istante è un'immersa relazione.
No, non è un errore, siamo immersi nelle relazioni umane, nessuno è solo, può nascere da solo, può crescere da solo.
Ed anche Loretto, che ci parla in modo inquieto di profonde solitudini, non esiste senza noi, vero cruccio e vera gioia dei suoi giorni, dei suoi pensieri.
Avanti dunque, di ricerca e di materia.
Per scavare tematiche senza fine, senza arrivi, il continuo divenire.
Comunicare è il sogno umano, ma quant'è difficile comunicare ciò che si desidera.
Avanti, ancora avanti, nel cercare un momento comune, un sentire comune, perché in un mondo popolato da miliardi di persone, da miliardi di sogni e bisogni, siamo tutti accomunati da quattro condizioni, nascere, invecchiare, ammalarsi, morire.
Questa è la vita, ed è degna di essere vissuta.
Molti nel mondo non pensano che sia vero,
perché le loro vite sono solo dolore, sofferenze e morte.
O solitudine.
E pensare che nessuno è meno solo degli esseri umani, meno circondato d'interessi e di obbiettivi, meno meta di costi e ricavi.
Ma, sembra dire Loretto, forse non è questa la compagnia, l'umanesimo che stiamo cercando.
Meglio forse un pensiero tenace, un sorriso sincero, una mano gentile.
E gesti concreti.
"Non vi lascio da soli, uomini, donne, bambini, persone".
E non c'è eroismo, non epopea, ma solo il dire,
ed il ridire, ed il ridire ancora.
Comunicare, per non lasciare niente d'intentato.
E così mi ispirano i suoi quadri, così sento in questi visi, in queste forme.
Una battaglia, con la b minuscola, di un Bel Percorso.
Creare occasioni per una dignità umana sempre più diffusa, sempre più duratura, è il piccolo, grande sogno di Loretto.
Senza presunzione, senza arroganza, senza lasciarlo mai svanire.
Vittorio Peluzzi